Ottime notizie

Ottime notizie per l’Italia. Nel 2023 i poveri sono aumentati ancora, raggiungendo l’8.5% delle famiglie residenti. Wow!  E non è detto che i poveri siano tutti degli sfaticati divanisti, causa del proprio male: infatti sono in aumento i cosiddetti working poor, i poveri che lavorano, che guadagnano troppo poco, e questo è senz’altro un bene, perché la gente deve smetterla di pensare che un lavoro anche di basso livello assicuri il benessere: perché dovrebbe? Non è così in tutto il mondo? Non è piena la letteratura, non sono pieni i film di disgraziati indiani o cinesi che sgobbano dalla mattina alla sera e sono poveri in canna? E per quale motivo noi italiani, pur lavorando, dovremmo essere ricchi? Vi siete montati la testa, per caso? Sacrifici, ecco cosa. Dobbiamo imparare a fare sacrifici.

Meno gente si cura: embè, basta con questa storia che, chiunque tu sia, se ti viene un canchero lo stato ti deve curare. Siamo matti? Chi può si cura, chi non può crepa, non fanno così anche in America, che è il paese più civile al mondo? Forza, che siamo anche troppi sulla Terra, è ora di fare una bella scrematura.

In aumento la popolazione carceraria, in particolare di minori, e anche questa è una gran bella notizia, perché a noi tutti ‘sti ragazzini ci hanno rotto il cazzo. Stiamo anche lavorando per azzerare il numero degli immigrati, basta con tutti questi neri che raccolgono il cotone nelle piantagioni cantando blues, d’ora in avanti l’italica economia sarà fatta girare esclusivamente da manodopera indigena.

Infine, la notizia del giorno. L’Italia ha finalmente ritrovato la sua dignità, rifiutando di sottoscrivere il documento europeo contro l’omotransfobia e il diavolo se la porti. Ma che vogliamo, diventare tutti gender? Ascoltate il generale: i gay non sono persone normali, per non parlare dei trans e dei queer e di quell’altre menate. Fatevene una ragione, ragazzi!

P.S.: a scanso di equivoci, ogni frase del presente post va interpretata in senso diametralmente opposto a quanto apparentemente dice!

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La colonna sonora della vita

Qual è la colonna sonora della nostra vita? Quali canzoni abbiamo ascoltato e canticchiato? Quali ci hanno rubato il cuore?

Su Masticadores Italia il mio amarcord musicale

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Arresti domiciliari


E così, Ilaria Salis ha ottenuto i domiciliari. Che vittoria per il nostro governo! Grazie all’entusiasmo e al notevole impegno dei ministri Tajani e Nordio la nostra concittadina potrà aspettare il processo in un’abitazione privata anziché in un carcere dove subiva umiliazioni e maltrattamenti.

Curioso, però, che quegli stessi ministri che ora si fanno belli della scarcerazione imminente di Salis, quando in televisione apparvero le immagini diventate presto famose della donna incatenata abbiano commentato che be’, cosa c’era di strano, era normale, si vede che in Ungheria usa così, le catene, ok, sono forse umilianti le catene? Costituiscono umiliazione o trattamento degradante? Andiamo! E che quando fu chiesto loro di intervenire per ottenere migliori condizioni per Ilaria, abbiano raccomandato invece di non parlarne, di non politicizzare, di non urtare in alcun modo gli amici ungheresi… e d’altra parte, Salis è un’antifascista, mio Dio, colpevole di gravi reati… come, colpevole, se ancora non è stata processata? Non esiste forse la presunzione di innocenza? Non siamo garantisti fino al terzo grado di giudizio? Per Santanchè e Toti, certamente, che son tanto delle brave persone, ma per una Salis qualunque, andiamo! Antifascista, per giunta!

Ora però che il tribunale ha accettato il ricorso presentato dai suoi legali e si appresta a scarcerarla, sono stati lesti a farsene un merito: visto, eh? Siamo stati bravi. Una concittadina in catene, che obbrobrio! Menomale che abbiamo un governo amico che tutela i suoi cittadini…

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Alice Munro

Ieri ci ha lasciato una grande scrittrice, Alice Munro. Era una donna ormai molto anziana, presto avrebbe compiuto 93 anni e da tempo non uscivano suoi nuovi libri. Viene considerata la regina del racconto, in effetti non ha mai scritto un romanzo ma soltanto racconti più o meno lunghi. Credo di averli letti tutti, in un periodo della mia vita che potrei collocare tra gli anni ’90 e gli anni ’10 del nuovo secolo. Parlano di donne. Giovani o anziane, felici e infelici, innamorate, deluse, sole, madri, figlie… Donne dalla vita semplice e banale e donne dalle vicende insolite e avventurose. Donne raccontate con sensibilità, attenzione, grande penetrazione psicologica. Donne spesso un po’ misteriose, il cui agire non sempre risulta facile da interpretare. Narrate in uno stile limpido, con un lessico preciso e accurato, che noi lettori e lettrici italiane abbiamo potuto apprezzare grazie alla sua straordinaria traduttrice, Susanna Basso.

Nel 2013 Alice Munro ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura. Se avessi una vita di ricambio penso che ora dovrei rileggere tutti i suoi racconti, che stanno incolonnati, una raccolta accanto all’altra, in uno scaffale della mia libreria.

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L’importanza di chiamarsi prof

Quanto conta la scuola nella formazione di una persona, e che influenza ha, alla lunga, sulla sua vita? Credo che conti parecchio e credo che, oltre a insegnarci molte cose importanti e altrettante inutili, contribuisca a plasmarci. Per questo gli insegnanti sono importanti, e per questo io, che ho fatto l’insegnante per tanti anni, ho sempre coltivato la speranza di essere, per i miei alunni o perlomeno per una parte di essi, una figura significativa. Ci sarò riuscita? A questo quesito tenterò di dare una risposta in un articolo successivo: intanto voglio dire qualcosa su quelli che sono stati i miei insegnanti.

Adoravo la mia maestra delle elementari. Era una donna di una certa età, piuttosto corpulenta, molto materna. Aveva un concetto molto personale dell’orario scolastico, arrivava in classe anche con mezz’ora di ritardo ma in compenso ci tratteneva ben oltre il suono della campanella. Se per caso qualcuna di noi aveva necessità di uscire in orario, doveva chiederle come favore specialissimo di poter andar via “quando suona la campanella”, ma si trattava di un’eccezione che non doveva ripetersi. Ci faceva lavorare sodo, ma io ne ero entusiasta, perché riuscivo bene in ogni cosa e la maestra non mi faceva mancare complimenti ed elogi.

Dei miei insegnanti delle medie non ho un buon ricordo, tranne del professore di matematica di terza, un giovane molto bello di cui noi femmine ci innamorammo perdutamente. Nessuno di loro ha rappresentato per me un modello significativo o mi ha trasmesso qualcosa di importante.

Alle superiori invece ho trovato alcune figure di riferimento. Il professore di religione era un sacerdote dal fare mellifluo, non molto simpatico ma intelligente e stimolante, un po’ manipolatore: le sue lezioni erano provocatorie su molte questioni attuali a quei tempi (ho fatto il liceo tra il 1968 e il ‘73), sia attinenti alla religione sia di carattere sociale. La professoressa di italiano era una donna straordinariamente brutta, con un notevole talento melodrammatico. Le sue lezioni di letteratura erano delle vere e proprie sceneggiate, era bravissima e sapeva tenere la platea: mi ha fatto innamorare di Dante, Ariosto, Montale, Svevo e tanti altri. Era capricciosa e volubile, a me voleva bene perché amavo la sua materia e scrivevo bene, ma detestava certe mie compagne e compagni che non avevano un’analoga passione o inclinazione per la sua materia. Ancora oggi, a distanza di più di 50 anni dal diploma, vedo con una certa regolarità una parte della mia classe del liceo, e la figura di questa insegnante continua ad essere oggetto di discussione tra chi di noi l’amava e chi la detestava. Lo stesso per la prof di storia e filosofia: dovrei dire semplicemente di filosofia, in realtà, perché della storia le importava ben poco. Era una donna giovane e molto intelligente, ci aprì orizzonti inimmaginabili, tuttavia era anche lei strana e bisbetica e tuttora noi suoi ex alunni siamo divisi tra fan e detrattori. Molti anni fa portai una delle mie classi del Tecnico a un incontro sul Risorgimento in cui, tra i relatori, figurava anche lei.

«Ci sarà la mia professoressa del liceo, ragazzi! Una giovane donna molto in gamba, che mi ha insegnato molto!», dissi ai miei studenti.

«Quella vecchina coi capelli bianchi era la sua prof?», mi chiese uno dei più maligni mentre tornavamo in classe.

«Sì, era lei.»

«Avrà 250 anni!»

«Ma no, ragazzi, siete sempre esagerati. Era giovane, a quei tempi!»

«Be’, ma lei quanti anni ha? 150, più o meno… Quindi la sua vecchia prof… come minimo 200!»

Infine, due parole per alcuni dei docenti che ho conosciuto all’università: primo fra tutti quello di storia moderna, con cui mi sono laureata, un uomo disponibile, aperto, paziente, e dovette averne di pazienza con me e la mia compagna di studi, che l’abbiamo fatto letteralmente dannare. Si chiamava Renzo Pecchioli ed è morto prematuramente ormai tanti anni fa. E poi il bellissimo professor Turi di storia dell’Italia contemporanea, davanti a cui andai letteralmente in tilt, soggiogata dai suoi occhi azzurri, e il terribile professor Landucci, tanto bravo quanto irascibile e tirannico. Donne? Non c’erano molte donne alla facoltà di storia, all’epoca: ricordo volentieri Maria Chiara Scabia, con la quale feci un corso di logica formale e imparai a scrivere frasi usando lettere, punti esclamativi, A rovesciate e altri simboli buffi. A tutte queste persone, e anche a quelle mediocri o incompetenti, devo qualcosa di ciò che sono diventata. Molti anni dopo aver finito il liceo un pomeriggio, che ero ai giardinetti con i miei figli, incontrai la professoressa di lettere, che abitava lì vicino. Parlammo un poco e a un certo punto le dissi:

«Sa, ora che anch’io sono una prof, penso spesso a quanto lei mi ha insegnato… le devo davvero moltissimo!»

Lei fu contenta.

«Quindi», mi disse con un sorriso, «alla fine non sono stata poi quella grandissima stronza che tutti dicevano di me…»

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Ci hai creduto



Come tutti gli anni sono andata al salone del libro, a Torino,
e come tutti gli anni prima ancora di arrivarci mi capita di vedere su Facebook
foto dello stand di Arkadia, il mio editore, e di riconoscere, nella stesa di
libri sul tavolo, la copertina della Scrittrice obesa, e, prima di questa,
degli Ingranaggi dei ricordi. Quest’anno invece non ho individuato nessuna mia
opera tra le foto postate, e va bene, ho pensato, è Tizio che ha fotografato il
suo romanzo e il mio magari si trovava un po’ più lontano, non è rientrato nell’inquadratura.
Via via però che oltre a Tizio condividevano immagini anche Caio e Sempronia,
ho cominciato a provare uno strano senso d’ansia. Ci sarà l’Obesa? L’avranno
portata, l’avranno esposta? Lo so, lo so, è uscita un anno e mezzo fa, per non
parlare degli Ingranaggi, che sono del 2020, e ci sono tante cose più nuove, e
lo spazio è quello che è… Ma vedo che c’è il libro di Pinco e quello di Pallino,
e mica sono più recenti del mio?

A stento mi trattengo dall’inviare un messaggio WhatsApp a
Patrizio, il superefficiente e superpaziente factotum, chiedendogli di uscire
immediatamente l’Obesa; ma quando arrivo allo stand, domenica mattina, non
riesco a trattenermi:

«Non vedo la mia Obesa, ne avete portato qualche copia,
non è vero?»

«Ma come, eccola lì, in prima fila. Ne è rimasta solo una,
le abbiamo vendute tutte…»

«Oh, bene», gongolo, ma intanto una vocina dentro di me contesta:

«Non crederai a queste fandonie, vero? Il tuo libro non
era in mostra i giorni scorsi, ma stamani, sapendo che venivi, ne hanno tirato
fuori una copia sbertucciata solo per farti contenta. Non avrai mica abboccato
a quelle fandonie su chissà quante copie vendute e sull’ultima rimasta? Ci hai
creduto, naso di velluto…»



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Se camminare fa troppo rumore

Su Masticadores Italia la mia recensione al libro di Giusi D’Urso, Se camminare fa troppo rumore

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Le magnifiche sorti e progressive.

«Senta qua, presidente. Pare che il nuovo assegno inclusione aumenterà l’incidenza della povertà assoluta. “Nonostante alcune misure di accompagnamento positive, si prevede che criteri di ammissibilità più rigorosi ridurranno l’impatto di riduzione della povertà del nuovo regime di reddito minimo”.»

«Ma che stai a sentì i soliti grillini der cazzo? Queste parole me puzzano de Conte da lontano un chilometro. La ggente sta mejo, ora che javemo tolto quer reddito de cittadinanza che l’abbrutiva! Mo’ tutti lavorano e so’ contenti matti! Se fanno la casa, coi sordi che guadagneno. Guarda me: so’ una borgatara, no? Eppure ‘a casa m’a sono fatta, col mio lavoro, e pure ‘a piscina, tiè!»

«Si prevede che l’assegno di inclusione determinerà una maggiore incidenza della povertà assoluta e infantile di 0,8 punti percentuali e 0,5 punti percentuali rispetto al precedente schema.»

«Oh, ma tu insisti a dar retta a Conte, è un bugiardo, t’o dico io!»

«A dire il vero chi lo dice è la Commissione europea, nell’analisi su occupazione, competenze professionali e inclusione sociale in Italia pubblicata oggi.»

«Anvedi, oh! Pure ‘a Commissione è diventata grillina…»

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A chi ce l’ha più lungo

Sono passati più di due anni dall’invasione russa in Ucraina. La quale a sua volta, è bene ricordarlo, era stata preceduta da otto anni di guerra civile tra l’esercito ucraino e gli abitanti russofoni/russofili del Donbass. Questo non per attenuare le gravi responsabilità della Russia ma per smentire qualla vulgata facilona secondo cui Putin si sarebbe svegliato una mattina e senza una ragione al mondo avrebbe deciso di attaccare l’Ucraina. Chi non ha solidarizzato col paese aggredito? Una terra, un popolo non soltanto protagonisti e vittime di terribili vicende durante tutto il XX secolo, ma devastati da anni di combattimenti e ora sottoposti a una vera e propria invasione. Solidarizzare però, per gli USA, la NATO e l’Unione Europea, che questa guerra l’avevano preparata con cura nel corso degli anni, significava imbottire l’Ucraina di armi (prima leggere, poi sempre più pesanti, prima di difesa, poi anche d’attacco) e lasciare che combattesse fino all’ultimo uomo, fino all’ultima casa abbattuta e all’ultimo terreno minato.

«L’Ucraina avrà la vittoria sul campo!»

«La pace la deciderà solo Zelensky!»

E Zelensky, caricato a molla, che faceva il giro del mondo chiedendo a tutti «Armi, armi, armi!»

Quegli stupidi dei pacifisti, altrimenti detti pacifinti, invano ripetevano che era necessario avviare delle trattative serie. Niente da fare: non era mai il momento. Addirittura l’Ucraina fece una legge: proibito negoziare coi russi!

Ora la guerra sta volgendo al peggio. L’Ucraina non vincerà sul campo, perde terreno, è stremata, le armi non bastano, le munizioni sono esaurite, gli uomini scarseggiano e quelli che sono sul campo sono stremati. La conta dei morti è allucinate, chi parla di 300.000, chi di mezzo milione. Il territorio è devastato, le case e le infrastrutture sono distrutte. Ma ancora “non è il momento” di parlare di pace.

«Se i russi dovessero sfondare le linee del fronte, se ci fosse una richiesta ucraina – cosa che oggi non avviene – dovremmo legittimamente sollevare la questione dell’invio di truppe», ha detto Macron, che non vede l’ora di mettersi alla testa di un bel drappello di soldati, con la bandiera tricolore in testa. Come dite? Macron in persona non andrà sul campo? E perché no, è ancora giovane, in fondo, e sarebbe un bell’esempio.

Cameron, tanto per non rimanere indietro, ha autorizzato l’Ucraina a colpire direttamente il territorio russo con i missili inglesi. Perché no, dai, mi sembra un’ottima idea.

E se la NATO per tutto il mese di maggio fa una spettacolare esercitazione nel Mediterraneo, la Russia, tanto per gradire, inizia a esercitarsi su come maneggiare le armi nucleari.

Buona vita a tutti!

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Tra vedere e non vedere

Intanto che si ragiona per la tregua, il cessate il fuoco o come diavolo lo vogliamo chiamare, e Hamas dice che sì, ci si può stare, Israele ancora non risponde ma, tra vedere e non vedere, ha già iniziato l’attacco contro Rafah. Un attacco così bello, così ben preparato, così atteso e pregustato: come si potrebbe rinunciare? Amo l’odore del napalm di prima mattina, diceva quello.

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