Quanto conta la scuola nella formazione di una persona, e che influenza ha, alla lunga, sulla sua vita? Credo che conti parecchio e credo che, oltre a insegnarci molte cose importanti e altrettante inutili, contribuisca a plasmarci. Per questo gli insegnanti sono importanti, e per questo io, che ho fatto l’insegnante per tanti anni, ho sempre coltivato la speranza di essere, per i miei alunni o perlomeno per una parte di essi, una figura significativa. Ci sarò riuscita? A questo quesito tenterò di dare una risposta in un articolo successivo: intanto voglio dire qualcosa su quelli che sono stati i miei insegnanti.
Adoravo la mia maestra delle elementari. Era una donna di una certa età, piuttosto corpulenta, molto materna. Aveva un concetto molto personale dell’orario scolastico, arrivava in classe anche con mezz’ora di ritardo ma in compenso ci tratteneva ben oltre il suono della campanella. Se per caso qualcuna di noi aveva necessità di uscire in orario, doveva chiederle come favore specialissimo di poter andar via “quando suona la campanella”, ma si trattava di un’eccezione che non doveva ripetersi. Ci faceva lavorare sodo, ma io ne ero entusiasta, perché riuscivo bene in ogni cosa e la maestra non mi faceva mancare complimenti ed elogi.
Dei miei insegnanti delle medie non ho un buon ricordo, tranne del professore di matematica di terza, un giovane molto bello di cui noi femmine ci innamorammo perdutamente. Nessuno di loro ha rappresentato per me un modello significativo o mi ha trasmesso qualcosa di importante.
Alle superiori invece ho trovato alcune figure di riferimento. Il professore di religione era un sacerdote dal fare mellifluo, non molto simpatico ma intelligente e stimolante, un po’ manipolatore: le sue lezioni erano provocatorie su molte questioni attuali a quei tempi (ho fatto il liceo tra il 1968 e il ‘73), sia attinenti alla religione sia di carattere sociale. La professoressa di italiano era una donna straordinariamente brutta, con un notevole talento melodrammatico. Le sue lezioni di letteratura erano delle vere e proprie sceneggiate, era bravissima e sapeva tenere la platea: mi ha fatto innamorare di Dante, Ariosto, Montale, Svevo e tanti altri. Era capricciosa e volubile, a me voleva bene perché amavo la sua materia e scrivevo bene, ma detestava certe mie compagne e compagni che non avevano un’analoga passione o inclinazione per la sua materia. Ancora oggi, a distanza di più di 50 anni dal diploma, vedo con una certa regolarità una parte della mia classe del liceo, e la figura di questa insegnante continua ad essere oggetto di discussione tra chi di noi l’amava e chi la detestava. Lo stesso per la prof di storia e filosofia: dovrei dire semplicemente di filosofia, in realtà, perché della storia le importava ben poco. Era una donna giovane e molto intelligente, ci aprì orizzonti inimmaginabili, tuttavia era anche lei strana e bisbetica e tuttora noi suoi ex alunni siamo divisi tra fan e detrattori. Molti anni fa portai una delle mie classi del Tecnico a un incontro sul Risorgimento in cui, tra i relatori, figurava anche lei.
«Ci sarà la mia professoressa del liceo, ragazzi! Una giovane donna molto in gamba, che mi ha insegnato molto!», dissi ai miei studenti.
«Quella vecchina coi capelli bianchi era la sua prof?», mi chiese uno dei più maligni mentre tornavamo in classe.
«Sì, era lei.»
«Avrà 250 anni!»
«Ma no, ragazzi, siete sempre esagerati. Era giovane, a quei tempi!»
«Be’, ma lei quanti anni ha? 150, più o meno… Quindi la sua vecchia prof… come minimo 200!»
Infine, due parole per alcuni dei docenti che ho conosciuto all’università: primo fra tutti quello di storia moderna, con cui mi sono laureata, un uomo disponibile, aperto, paziente, e dovette averne di pazienza con me e la mia compagna di studi, che l’abbiamo fatto letteralmente dannare. Si chiamava Renzo Pecchioli ed è morto prematuramente ormai tanti anni fa. E poi il bellissimo professor Turi di storia dell’Italia contemporanea, davanti a cui andai letteralmente in tilt, soggiogata dai suoi occhi azzurri, e il terribile professor Landucci, tanto bravo quanto irascibile e tirannico. Donne? Non c’erano molte donne alla facoltà di storia, all’epoca: ricordo volentieri Maria Chiara Scabia, con la quale feci un corso di logica formale e imparai a scrivere frasi usando lettere, punti esclamativi, A rovesciate e altri simboli buffi. A tutte queste persone, e anche a quelle mediocri o incompetenti, devo qualcosa di ciò che sono diventata. Molti anni dopo aver finito il liceo un pomeriggio, che ero ai giardinetti con i miei figli, incontrai la professoressa di lettere, che abitava lì vicino. Parlammo un poco e a un certo punto le dissi:
«Sa, ora che anch’io sono una prof, penso spesso a quanto lei mi ha insegnato… le devo davvero moltissimo!»
Lei fu contenta.
«Quindi», mi disse con un sorriso, «alla fine non sono stata poi quella grandissima stronza che tutti dicevano di me…»