A un anno dalla morte di Andrea Camilleri, Repubblica regala ogni giorno un libriccino contenente un racconto del Maestro. Per ora ne sono usciti due: ho provato a sfogliarli ma un forte attacco di orticaria mi ha obbligata a richiuderli in tutta fretta.
Devo essere una delle cinque o sei persone in tutta Italia, e forse al mondo, che non riescono a leggere Camilleri. Credevo di essere l’unica, in verità, ma una discussione su Facebook mi ha fatto capire, con mia grande sorpresa, che esistono altri disadattati come me. Quindi mi faccio coraggio e propongo la mia non-passione camilleresca su questo blog. Devo dire che non ho fatto grandi sforzi per superare il mio handicap. Anni fa ho letto una raccolta di racconti (Un mese con Montalbano) e ho deciso che non faceva per me. Molti mi hanno detto che sbagliavo, che dovevo leggere i romanzi, quelli sì che erano belli, ma a me la cosa che dà veramente fastidio e che mi impedisce di leggere Camilleri, e che invece manda in sollucchero milioni di persone, è la sua meravigliosa lingua inventata. Non è che non sia bella, una lingua inventata: adoravo, per esempio, il grammelot di Dario Fo. Semplicemente, la lingua di Camilleri non mi piace. Faccio fatica a leggerla, mi irrita l’eccesso di fonemi pseudodialettali, tutte quelle i e quelle u che sembra di essere in un sonetto di Jacopo da Lentini, mi viene da starnutire ogni volta che leggo “arriniscì”, mi si cosparge il viso di bolle davanti al verbo “taliari”, per non parlare dei famigerati “cabbasisi”, che mi provocano violenti attacchi di tosse. Filippo Tuena, che è uno scrittore straordinario, confessa che la lingua di Camilleri gli sembra “furba”, ed è quello che ho sempre pensato anch’io. Ovvero, non il frutto di una vera ricerca linguistica, ma un linguaggio artificioso, costruito a tavolino, nato per essere accattivante, per strizzare l’occhio al lettore. Quanto alle storie, devo confessare che conosco solo la versione televisiva, ma non mi sono mai sembrate niente di che. Dei buoni polizieschi con personaggi molto standardizzati, piacevoli per passare una serata alla Tv, nient’altro. Ma tu devi leggere Il birraio di Preston, mi dicono. La concessione del telefono. Forse allora avverrà la mia conversione al camillerianesimo? Per il momento ho altre priorità.
Marisa Salabelle
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che dirti, forse sul tipo del linguaggio ci può essere una strizzata d’occhio alla “furbizia”, ma io amo Camilleri per le atmosfere, per come riesce a raccontare scene assolutamente normali in modo tale da fartele ricordare. i suoi libri sono sempre diversi anche se trattatno più o meno delle stesse vicende… stavolta non posso concordare con te, ma rispetto al tua opinione assolutamente! buona giornata
Anche io non sono camilleriana, ho provato a leggerlo, ma no non fa per me
Probabilmente è uno di quegli autori che si amano alla follia o che si detestano… cioè, io non è che lo detesti, solo che come autore non mi dice niente. Vuoi mettere Simenon?
Adoro Camilleri da prima che Montalbano diventasse un fenomeno televisivo.
Di origini meridionali quei termini per me sono familiari, mia madre parlava uguale.
È indispensabile entrare in sintonia con la “sicilianità” per apprezzarlo. Montalbano, poi, è un personaggio fuori dalle righe nel quale spesso mi riconosco. Io Camilleri lo apprezzo molto, pur non essendo d’accordo al 100% con quello che era il suo pensiero (in particolare politico). Detto questo, il gusto è soggettivo.
Penso anche io che per apprezzarlo bisogna entrare in sintonia con la sicilianita’ dove taliare non vuol dire solo guardare ma esprime un certo modo di guardare. D’altra parte se non vi è mai stato un incontro anche lessicale è normale che non si riesca ad apprezzare. Per fortuna non tutti abbiamo gli stessi gusti ed è bello così.
Certo, è una fortuna! Tuttavia devo dire che di autori siciliani ne ho letti tanti, da Pirandello a Verga a Sciascia…
Concordo che gli autori citati abbiano ben altro spessore però Camilleri anche a me sembra piacevole.
aggiungimi alla lista esigua dei disadattati… non ho neanche mai visto la versione tv…
Ba’, menomale, ogni tanto trovo qualcuna più disadattata di me… 😉
L’unica volta che presi in mano un libro di Camilleri risale all’Estate 2009. Ero in vacanza in Romagna, mancava ancora qualche giorno al mio ritorno a casa e io avevo già finito i libri da leggere: di conseguenza, andai in una libreria per fare rifornimento. Allora la fama di Camilleri era già enorme, quindi per curiosità provai a sfogliare uno dei suoi romanzi: non l’avessi mai fatto! Come ha detto Lei, la sua lingua artificiale era così difficile da comprendere che dopo 2 pagine ero già steso.
Peraltro, faccio presente che allora ero reduce da 5 anni di liceo classico + un anno di Lettere Antiche, quindi ero abituato a decrittare anche dei complicatissimi testi in greco antico, eppure quella lingua risultò ostica anche per me. Non capisco come faccia a piacere così tanto anche a persone con un bagaglio culturale ben più ristretto.
Rimanendo in tema di letture, oggi ho finito di leggere “I pellerossa che liberarono l’Italia” di Matteo Incerti. E’ un romanzo storico nel senso più letterale del termine, perché lo stile di scrittura è quello del romanzo, ma tutti i personaggi sono realmente esistiti e tutte le vicende narrate sono realmente avvenute.
La prima metà del libro riporta nomi, date ed eventi con una dovizia di particolari che sarebbe eccessiva anche per una tesi di laurea, figuriamoci per un romanzo storico: di conseguenza, all’inizio si fatica davvero tanto ad andare avanti nella lettura. Poi nella seconda metà il libro migliora tantissimo: è come se l’autore avesse capito in corso d’opera che il suo scopo principale doveva essere quello di raccontare una storia coinvolgente, non di far capire al lettore l’enorme lavoro di ricerca che sta dietro al suo libro. Ad ogni modo, le ultime 200 pagine sono così avvincenti che possiamo chiudere un occhio su tutto ciò che viene prima.
Be’, gratta gratta, alla fine non sono l’unica a non apprezzare il gergo camilleriano!
Comunque ricordo che quando morì Camilleri il Fatto quotidiano gli dedicò un articolo di ben 2 pagine, e in quell’articolo si diceva che Il birraio di Preston era uno dei libri preferiti di Bill Clinton. Chissà se mentre lo leggeva c’era Monica sotto. 🙂
Maligno…
Io adoro Camilleri, non è il mio scrittore preferito, ma una volta all’anno mi rincuora e mi dà un piacere sconfinato tornare a trovarlo. E poi mi fa venire una fame, ma una fame, una voglia di mangiare che non ti dico! Mi sono commossa, quando è morto, perché gli volevo bene, ricordo il piacere che mi dette leggere Gli arancini di Montalbano, ero sul divano in inverno, e mi sentii abbracciata.
Ah, io non ho mai visto una puntata della serie, non mi attira per niente e sto bene così, a immaginare ogni personaggio a modo mio!
Invece io, per esempio, detesto che, da un certo momento in poi, e precisamente da quando è nato il personaggio di Pepe Carvalho, ideato da Manuel Vasquez Montalban, al quale Montalbano deve il suo nome, molti detective di crime series debbano essere dei gourmet e i relativi libri debbano parlare di ricette sfiziose! Due anni fa, mentre cercavo un editore per L’ultimo dei Santi, parlai con uno che mi chiese espressamente di inserire delle ricette nel libro! Poi ho pubblicato con un altro… 🙂
Capisco il fastidio, io odio le trasmissioni culinarie! Questo effetto, infatti, me lo fa solo lui 🙂
Ha fatto bene: un editore che chiede ai suoi autori di scimmiottarne altri di grande successo evidentemente non è interessato a tirar fuori qualcosa di nuovo o di bello, ma solo a tirar su du’ spicci.
Infatti, mi diede fastidio la sua pretesa voler inserire nel mio libro elementi non finalizzati ad arricchire la trama o a delineare meglio un personaggio, ma solo a compiacere un certo tipo di pubblico… Un’altra cosa che voleva era che i luoghi citati nel libro lo fossero col loro vero nome. E io avrei dovuto rinunciare a Tetti? Giammai!
In effetti gli arancini sono buoni… 😉
Non entro nel merito del tuo giudizio, perché, poco interessata al genere, non ho mai letto Camilleri. Immagino che ti dia fastidio l’inserimento forzato di parole del dialetto siciliano nella lingua italiana, perché certe parole che citi, come cabbasisi, non sono inventate. Mio padre, siciliano di precoce adozione, la usava quando era molto arrabbiato. Oppure ci sono troppe storpiature delle parole italiane modificate per far pensare al dialetto? Come scrittrice dilettante mi domando se ho sbagliato a inserire qualche frase in piemontese, virgolettata, nel dialogo di un mio personaggio nativo di quella regione. Ho usato l’artificio nell’intento di rendere più vivo il personaggio stesso… Forse sono di parte, perché sono un pò una piemontese adottiva e affezionata a quel dialetto. Può risultare fastidioso per il lettore?
In generale non mi dà fastidio l’inserimento di termini dialettali, anzi, amo il plurilinguismo, il linguaggio misto, contaminato. Anch’io scrivo e nei miei romanzi ho inserito parole dialettali o vernacolari. So inoltre che molti dei termini usati da Camilleri sono realmente esistenti in dialetto o nella parlata popolare siciliana. Quello che me lo rende illeggibile è proprio la struttura della lingua, che non è né dialetto né italiano ma un linguaggio appositamente ideato dall’autore: mi rende difficile leggerlo, mi infastidisce, lo trovo “furbesco” e ammiccante. Ma so che a moltissimi piace, il mio è solo un punto di vista.