Sono riuscita ad andare in pensione a 61 anni, nel 2016, per anzianità di servizio. E ne sono molto contenta, perché mi sono risparmiata la messa a regime della pessima Buona scuola renziana, la DAD e la scuola in presenza al tempo del covid. Ma anche nella peggiore delle ipotesi sarei comunque andata quest’anno, per età, a 67 anni. E menomale, perché fino a quando ho insegnato ho potuto vantarmi di essere esperta nel mio lavoro: oggi invece non lo sarei più. Oggi, se volessi essere davvero esperta, dovrei ciucciarmi tre corsi triennali di perfezionamento, alla fine dei quali sperare di rientrare tra gli ottomila “insegnanti esperti” previsti per il 2033. Non sarebbero bastati la mia laurea in lettere, i concorsi superati, il corso di teologia non completato, i sei anni di insegnamento di religione, i sette anni di insegnamento nella scuola media, i 25 anni all’Istituto tecnico; le migliaia di studenti, le decine di migliaia di verifiche e compiti preparati, somministrati e corretti, le infinite ore passate a spiegare, interrogare, chiacchierare coi miei alunni, discutere, litigare, andare a teatro, al cinema e a conferenze; i consigli di classe, i collegi docenti, i corsi d’aggiornamento, i colloqui con le famiglie. Niente di tutto ciò avrebbe fatto di me un’insegnante esperta: e naturalmente, data la mia età avanzata, non avrei potuto certo sobbarcarmi nove anni di formazione… sarei andata in pensione come una novellina. Del tutto inesperta.
Marisa Salabelle
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Anche secondo me la scelta dell’aggettivo “esperto” per definire chi supera questi corsi è infelice. Non solo perché (come ha detto Lei) un insegnante diventa esperto per tutt’altre vie, ma anche perché nella stragrande maggioranza dei casi questi corsi sono fuffa allo stato puro, che non costituiscono nessun valore aggiunto per la carriera di un insegnante (figuriamoci per la sua esperienza).
Attenzione: con questo non voglio dire che l’esperienza maturata in anni e anni di servizio basta e avanza per fare di te un buon insegnante (come dicono quei precari furbetti che vorrebbero essere stabilizzati senza aver superato nessun concorso). Conosco dei docenti che sono in attività da diversi anni, ma che non sono in grado di svolgere bene nessuna parte del loro mestiere: non sanno spiegare gli argomenti in maniera chiara, non sanno valutare i ragazzi, non sanno rapportarsi con loro dal punto di vista umano.
L’esperienza sul campo è quindi preziosa, ma non è sufficiente per fare un buon insegnante. Anche perché alcune delle abilità che ho citato prima, come quella di saper trasmettere le proprie conoscenze, sono delle qualità innate: puoi insegnare da trent’anni e spiegare i concetti in maniera più contorta che mai, puoi non esserti mai messo dietro una cattedra e saper spiegare i concetti come nessuno al mondo.
Il buon insegnante è quindi una persona che possiede delle qualità innate, e che ha saputo fare tesoro della sua esperienza per affinarle e non ripetere gli errori di gioventù. Se invece non possiede queste qualità innate e continua a fare degli errori mostruosi anche dopo i primi anni di insegnamento, allora è meglio che cambi lavoro. E di norma i docenti inadeguati lo fanno: la scuola rende la vita impossibile agli imbranati in maniera ancora più marcata di quanto non lo faccia con i professori bravi, e quindi spesso sono gli imbranati stessi che decidono di mettersi a fare altro. Inizialmente si limitano a cambiare scuola, poi dopo averle girate tutte e aver avuto grane ovunque capiscono che il problema sono loro, e quindi passano proprio ad un altro mestiere. Succederà anche alla professoressa di cui abbiamo parlato alla presentazione, può starne certa.
Considero veramente assurda questa trovata dell’ineffabile ministro Bianchi… sono d’accordo con te che un buon insegnante sia un mix tra varie cose, preparazione, personalità, capacità relazionali, etc. Mi domando poi come faranno a dedicare tempo al loro lavoro coloro che si sobbarcheranno questi estenuanti corsi di perfezionamento. Sul fatto che chi non è adatto all’insegnamento prima o poi cambi lavoro, non ne sono tanto certa: ho conosciuto gente che insegnava da una vita ingoiando umiliazioni e sconfitte, ma non trovava il coraggio per rinunciare al posto, allo stipendio, magari al ruolo!
Ho grande rispetto per i professori di ruolo. Perché è vero che i concorsi valutano soltanto le nozioni, ma è vero anche che per superarli devi sapere una quantità di nozioni mostruosa, che solo un gran bel cervello può riuscire a memorizzare. E se hai così tanta materia grigia, di norma capisci benissimo come fare per diventare un bravo insegnante.
Nella mia carriera mi è capitato soltanto 2 volte di incontrare qualcuno che mi ha fatto pensare “Il ruolo l’ha trovato nelle patatine”. Erano 2 professoresse di Lettere, entrambe inadatte per motivi caratteriali: una dava troppa confidenza ai ragazzi, era la classica prof “amicona”; l’altra era di un’insicurezza esagerata, quindi chiedeva consigli ai colleghi su come affrontare dei problemi anche banalissimi, che qualsiasi persona di media intelligenza avrebbe saputo risolvere con uno schiocco delle dita. Per dirla con un’espressione molto toscana e un po’ volgare, “non sapeva togliersi un dito di culo”, e questo di norma ai professori bravi non succede, o succede soltanto nei primi anni di carriera.
A Settembre dovrebbero esserci le immissioni in ruolo: speriamo che nella mia scuola non capiti nessun soggetto simile a queste 2! 🙂
veramente, c’è da riflettere su queste cose, al giorno d’oggi chi decide di fare il tuo mestiere si trova di fronte tanti di quei grattacapi che di certo non lo agevolano nel suo percorso. Fra corsi di aggiornamento e continui adattamenti a quelle che sono le direttive del momento c’è di che stressarsi. Ma d’altra parte il mondo cambia e nel bene e nel male ogni attività si deve adeguare a questi cambiamenti….
Sono favorevole all’aggiornamento e alla formazione permanente, e del resto ho fatto tanta formazione quando insegnavo, ma la novità introdotta dal ministro, credimi, è follia allo stato puro
Mi pare che, qualcuno, dicesse che gli esami non finiscono mai…
exactamont
Amarcord ben, tankeyu
Alla faccia!
La Scuola è sempre più bistrattata, in ogni ordine e grado. Credo che sia evidente a tutti, specialmente a chi l’ha vissuta come docente negli ultimi anni.
La Spesa Pubblica è inferiore (percentualmente) a quella di altre nazioni a noi più simili, e ci si rimette sia in termini di puro insegnamento e di continuità didattica (come genitore posso ampiamente dimostrarlo) che in termini di ricerca e di “fuga di cervelli”.
Risultati? Una preparazione inferiore dei ragazzi, e nozioni “mordi e fuggi” che non restano impresse.
Purtroppo hai ragione…
L’esperienza, oppio dei popoli 2.0
Tempo fa mi ero ripromesso di fare un’indagine sulla scuola, con delle interviste a voi insegnati ed ex insegnanti. Poi causa lavoro in quantità eccessiva, non sono riuscito a preparare le domande (arrivavo a casa la sera abbastanza stanco). Comunque vedo che grazie a post come questi, chi vuole, qui su wordpress, trova risposte in maniera chiara. Credo che tra tutti i commenti ricevuti in 14 anni di blog, uno dei migliori sia stato il tuo Marisa, quando asserivi che è alquanto retorico ed inutile continuare a paragonare la bontà della scuola degli anni 60 (secondaria) con quella odierna. Nella prima ci andavano 4 gatti per lo più selezionati per censo, famiglia e voglia di studiare, ed oggi ci devono andare tutti, con numeri di due ordini di grandezza superioria quelli di 50 anni fa. So che questo non c’entra molto col tuo post, ma quando si parla in maniera critica di scuola, questa semplice constatazione numerica viene omessa. E’ come se un demografo comparasse un paesino di provincia con una metropoli.
Sono lusingata che tu ricordi ancora quel mio commento e affermi di apprezzarlo!
Ti seguo sempre nei tuoi post, e ovviamente (anche se non commento sempre) apprezzo anche tante altre cose che scrivi. 😀 Il post su Italo Svevo per esempio è (nella realtà dei fatti che racconti) ai limiti del geniale. Mi ha ricordato il Woody Allen primi anni ’80. Direi anche più graffiante. Buona serata Marisa.
Mi è sembrata a pelo un po’ singolare questa definizione di insegnante esperto. Adesso leggendoti scopro i tre corsi o qualcosa di simile per arrivare alla definizione.
Ho sempre diffidato dalla parola esperto, troppo spesso abusata e fuorviante. Il vero esperto è quello che sa fare il proprio mestiere bene. Ma chi giudica il suo operato? Qui casca l’asino. Nessuno in pratica, perché per valutare il valore di una persona servono persone che hanno valore più di lui. Ergo il cane che morde la coda.
Diciamo più prosaicamente che il vero esperto è colui che raggiunge obiettivi e risultati. Nel caso specifico della scuola è l’insegnante che riesce far crescere i ragazzi come persone e come studenti. E non è poco.
Spero che questa aberrazione sparisca col nuovo parlamento
Non sono certo anni e anni di corsi a far sì che un insegnante “riesca far crescere i ragazzi come persone e come studenti”. Ci vuole certo preparazione, ma anche dedizione, e un briciolo di predisposizione
È un mio sentore che viene da lontano, non solo per distanza geografica dall’Italia, ma anche storica. Io avvertivo questa voglia di “corsificare” anche nella mia professione, lontana anni luce dalla scuola. Nei due ultimi anni di lavoro in Italia, nell’azienda per cui lavoravo, si facevano ore e ore (con costi per l’azienda elevati, ma non tanto quanto altro.. leggero dopo) di sicurezza, qualità, soft skills e altre amenità. In pratica erano solo paturnie per “burocratizzare” il lavoro di produzione in fabbrica, non di certo per risolvere i veri problemi di sicurezza che imponevano seri investimenti di denaro. Credere che la burocrazia possa risollevare i destini dell’Italia, nella scuola, come nell’industria, come nei servizi, e’ come credere a 40 anni a Babbo Natale.
Sì, certo, anch’io ho dovuto fare i corsi per la sicurezza e imparare che dimensioni devono avere la porta e le finestre di un’aula a seconda del suo cubaggio e anche di quanti centimetri deve essere la pedata di un gradino…