Non potendo andare né a Torri né a Baratti né in qualunque altro posto dove non avessi un familiare cui far visita o una seconda casa e che non fosse più distante di 30 km e non prima delle 5 del mattino e non più tardi delle 10 di sera e non più di due in macchina… va be’, mi sono adattata ad aprire la mia gislonga sul terrazzino e a prendermi l’ora d’aria e di sole tra le 11 e mezzogiorno. Ma avevo fatto i conti senza l’oste, cioè senza il mio vicino, che non appena ha percepito la mia presenza in open air ha fatto capolino sulla sua porzione di terrazzo. E stavolta non avevo neanche la scusa del covid per tenerlo lontano. Buongiorno, come sta, era tanto che non la vedevo qua fuori, cominciavo a essere preoccupato, e in men che non si dica ha iniziato un monologo a proposito della sua cantina infestata dall’umidità, dei suoi 300 libri danneggiati e dei suoi quadri che ha dovuto spostare per evitare che si imbarcassero e delle sue condizioni di salute sempre più precarie e del suo medico che non lo visita a domicilio, ma come potrebbe lui andare in ambulatorio non avendo né macchina né patente, e non essendo in grado di camminare ma solo di strascicare i piedi a causa delle condizioni delle sue gambe? E mentre io partecipavo alla conversazione solo con vaghe interiezioni, e mentre mio marito si affacciava a salutarlo e anch’io ne approfittavo per salutarlo a mia volta, senza che lui decidesse a quel punto di ritirarsi, e mentre come extrema ratio simulavo un attacco di tosse per fargli temere che fossi ancora contagiosa, pensavo al protagonista di un libro che sto leggendo in questi giorni, Guerra e guerra, di un autore ungherese che si chiama Laszlo e qualcosa di impronunciabile, che proprio come il mio vicino si attaccava alla prima persona che vedeva per raccontarle per filo e per segno tutta la sua vita, e così mi sono detta, va là, che poi con la trascrizione delle chiacchiere del vicino ci fai un romanzo immortale.
Marisa Salabelle
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Ah, beh, allora… tuttocchei!😉
Per così dire… 😉
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