Ho una certa esperienza di presentazioni di libri, sia come autrice che presenta il suo, sia come relatrice di libri altrui, sia come semplice spettatrice. A meno che tu non sia Marco Malvaldi o Maurizio De Giovanni, la media dei partecipanti è tra le 15 e le 25 persone. Quando vedete foto di platee zeppe di pubblico, vuol dire che:
1. L’autore è un nome di grande richiamo
2. Siamo in una scuola e il pubblico è composto di studenti cooptati
3. L’autore interviene all’interno di un evento più importante, come un festival o una rassegna.
Per noi comuni mortali, avere 15 persone è già un successo, averne 20 è il pienone. Le librerie poi di solito sono piccole o riservano un piccolo angolo all’evento, per cui sono sufficienti una dozzina di sedie piene e qualche persona in piedi per dare l’impressione di un’affluenza straordinaria. Io ho avuto tanta gente alla prima presentazione dei miei due romanzi, ma perché giocavo in casa, ero nella mia città, avevo invitato tutti i miei amici e parenti e offrivo un buffet, elemento, questo, da non disprezzare. Ho avuto la sala piena una volta che ho presentato l’Efisia a un circolo di sardi, ma quelli non erano venuti per me, ma per poter ballare il ballo tondo alla fine della presentazione. In genere sono contenta quando i convenuti superano la decina, strafelice quando arrivano a 20, miracolata se sono 25. E non sono mancati i casi in cui mi sono dovuta accontentare di due o tre ascoltatori.
Quando vado in posti dove non sono conosciuta (praticamente quasi tutti i posti dell’universo) sono sempre preoccupata che non venga nessuno. E ieri, all’Ipercoop di Montecatini, per un incontro organizzato dalla biblioteca locale, avevo questo timore. La responsabile, gentilissima, ha espresso la gioia di ospitarmi e la speranza che qualcuno venisse a sentirmi. La bibliotecaria, che mi avrebbe introdotto, una giovane donna molto simpatica che non mancava di assestarmi pacche e gomitate per esprimere tutta la sua felicità e la sua simpatia, temeva che il pubblico sarebbe stato scarso.
«Eh, si sa che la gente non viene volentieri a questo tipo di incontri!»
«Già! Quando si parla di libri…»
«Sarà tanto se ci saranno dieci persone.»
«E poi la saletta è al piano di sopra…»
Scortata da queste due menagramo sono salita al piano superiore e mi sono rassegnata a parlare con diverse file di sedie vuote. Per fortuna alcune persone sono entrate, di certo comparse prezzolate, e si sono accomodate in ultima fila (mai che nessuno occupi le sedie davanti…). Mentre aspettavamo che si facesse l’ora per iniziare, la porta della saletta ha iniziato ad aprirsi e chiudersi ripetutamente. Altre tre persone sono entrate… poi cinque… poi due…
«Menomale, qualcuno c’è» mi ha detto all’orecchio la mia relatrice, assestandomi una gomitata.
Un gruppo di signore… due uomini… un vecchietto… un ragazzo con gli occhiali…
«Vai, stiamo andando bene!» ha detto la relatrice, dandomi nuovamente di gomito.
Incredibilmente le persone hanno continuato ad arrivare, e la mia manesca amica si è limitata a darmi i numeri via via aggiornati, accompagnandoli sempre con affettuose pacche.
«Trenta! Trentadue! Trentacinque! Non ci posso credere!»
«Trentasette… anzi trentotto… quaranta… quarantadue!»
È stata una bella serata. Peccato per i lividi che mi si sono formati sul braccio sinistro. Ho la pelle delicata, io.
Marisa Salabelle
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Il trucco è non avere nessuna aspettativa. Se si affrontano le presentazioni con questo spirito non ci si deprime troppo quando sono deserte, e si rimane invece piacevolmente sorpresi quando fanno il boom di spettatori.
Ha ragione quando dice che il buffet aiuta molto a guadagnare degli spettatori in più. Ad esempio, le presentazioni della casa editrice in cui ho lavorato si erano guadagnate un pubblico fisso che veniva proprio per il buffet finale. Secondo me ad attirarli era non soltanto per la qualità del cibo, ma anche il fatto mentre lo mangiavamo si creava un’atmosfera molto piacevole, alla quale tuttora ripenso con grandissima nostalgia.
Quella casa editrice fallì non perché avesse un brutto catalogo (al contrario, poteva contare su degli ottimi autori), ma perché la sua proprietaria non era disposta a scendere a compromessi.
Ad esempio, non voleva che i suoi libri venissero venduti su Amazon, perché il sito le imponeva di praticare degli sconti che non solo azzeravano il suo guadagno, ma la mandavano addirittura in perdita. Il motivo del rifiuto era valido, ma non capiva che stando su Amazon avrebbe ottenuto una visibilità enorme, e quindi forse il gioco valeva la candela.
Un altro esempio: non voleva neanche che i suoi libri fossero venduti nei supermercati, perché sosteneva che il libro ha una sua sacralità, e quindi le faceva orrore l’idea che un suo romanzo venisse messo in un carrello accanto a una cassa di pomodori. Non capiva che alla Coop ci vanno moltissime persone, e quindi se fosse riuscita a superare questa sua ritrosia di copie ne avrebbe vendute veramente tante.
In pratica, a causa dell’idealismo e della rigidità della nostra boss, i nostri libri potevano essere acquistati solo sul sito della casa editrice, o recandosi nella casa editrice stessa. Ma dato che eravamo pressoché sconosciuti, erano pochissimi a frequentare sia l’una che l’altra. A meno che non ci fosse una presentazione, ma anche in quei casi non vendevamo così tante copie da poter restare in attività.
Avremmo chiuso anche se la nostra boss fosse stata più flessibile? Forse sì. Ma saremmo durati di più, avremmo fatto conoscere di più i nostri autori e saremmo restati insieme più a lungo. E invece la nostra avventura è durata pochissimo. Ma ha lasciato a tutti noi dei ricordi che ci porteremo dentro per sempre.
Non avere nessuna aspettativa è impossibile… vado in giro a presentare un libro che ho scritto io, al quale tengo, perciò spero sempre che qualcuno venga a sentirmi, si interessi al romanzo e magari lo compri… Però, indubbiamente, ho delle aspettative ragionevoli. Quando i presenti sono davvero molto scarsi mi dispiace, quando sono in numero giusto sono contenta, quando sono tanti…be’…
Riguardo alla casa editrice per la quale lavoravi, non sapevo fosse fallita, credevo semplicemente che tu avessi cambiato lavoro, optando per l’insegnamento. Come non è facile per gli autori e per i librai, non è facile nemmeno per gli editori… La tua boss poi mi sembra, in base a come la descrivi, veramente un po’ troppo snob. Peraltro la Coop fa veramente attività culturale e riesce a sollecitare l’attenzione di molte persone!
Che amarezza 😟
Amarezza, no, perché? Se alludi alle presentazioni, come ho detto, se c’è poca gente ci resto un po’ male, ma se ce n’è un discreto numero sono contenta, specialmente quando percepisco dell’interesse e della partecipazione. Riguardo alla difficile vita di piccoli editori, librerie indipendenti e scrittori non bestselleristi… si sa che le cose vanno così!
Complimenti! Io faccio festa giá con 15 🙂
Ma normalmente anch’io!
Le segnalo questo post sullo stesso argomento: https://marcolovisolo.me/2020/02/08/vendere-libro-presentazioni/
L’ho letto, carino. In generale a me piace presentare i miei libri in giro, a volte succede che mi stufo, e a volte mi chiedo anch’io se sia davvero necessario farlo. Tuttavia, il fatto è questo: se pubblichi,. qualcosa devi vendere, altrimenti nessuno ti pubblicherà più.Io non ho mai praticato il self publishing, è una cosa nella quale non credo, preferisco avere un editore, anche se piccolo, purché sia di qualità (ce ne sono di penosi) e l’editore vuole che tu venda. Se sei famoso, vendi grazie al nome che ti sei fatto, se non lo sei ti devi far conoscere, e allora vai di presentazioni. Se anche durante la presentazione non vendi molte copie, quello che conta è che comunque ti fai conoscere, poi pubblicizzi l’evento sui social… è il mercato, bellezza!
Leggo anche i commenti. Io ho pubblicato con Amazon, non ho nemmeno cercato un editore, ma quanto a presentazioni, o pago o niente. In ogni caso complimenti!
Pagare per presentare? Questa non l’avevo ancora sentita…