Riguardo alla scuola di Roma che ha descritto dettagliatamente la qualità dei propri utenti in funzione della appartenenza di classe, è chiaro che considero vomitevole il suo comportamento, però vorrei aggiungere qualcosa. Quell’istituto ha fatto una porcata, e non è il primo ad aver scritto sul proprio sito qualcosa di molto brutto sui suoi allievi divisi in base alla classe sociale, ma se andiamo a guardare bene, la colpa non è solo della commissione che ha redatto il testo o del dirigente che l’ha avallato. Tutto ciò discende da una serie di cambiamenti intervenuti nella scuola italiana nel corso degli ultimi vent’anni, da quando cioè è iniziata l’autonomia scolastica e le scuole hanno dovuto inventarsi tutta una serie di accorgimenti per diventare appetibili e concorrenziali. Le cose non sono potute che peggiorare nel corso degli anni con le varie riforme e riformette, alle quali La buona scuola renziana ha dato il suo notevole contributo. Se la tua scuola deve essere la migliore, deve attirare la migliore utenza, deve avere i migliori insegnanti e garantire il successo formativo, se ti viene appositamente richiesto di redigere e postare sul sito la descrizione socioeconomica del territorio e dell’utenza, il risultato non può essere che questo. Quale scuola vorrà scrivere sul suo sito «Siamo una scuola sgarruppata, inserita in un territorio povero e malmesso, viene da noi la peggior feccia della città, abbiamo stranieri, rom e disabili in abbondanza, convincere questi ragazzi a frequentare e dissuaderli dall’abbandono per noi è già un grande successo formativo»?
Marisa Salabelle
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“Se la tua scuola deve essere la migliore, deve attirare la migliore utenza, deve avere i migliori insegnanti e garantire il successo formativo…”
Io, non lo so per quale stortura mia, ho sempre pensato che in una scuola ci debbano essere anche i ragazzi più sciaguratelli, e certo avere buoni e ottimi insegnanti, fare in modo che anche quelli non eccellenti lavorino e si impegnino nel modo giusto. Che se poi i migliori insegnanti se li prende tutti una scuola, alle altre cosa resta?
Anche questo è vero…
Analisi lucida e condivisibile!
Grazie!
L’inserimento nelle classi di bambini con minori possibilità economiche o portatori di handicap dovrebbe essere vissuto come un valore aggiunto e opportunità di confronto per ragazzini che hanno già tutto. I bravi insegnanti servono a tutti ma forse di più a chi ha meno stimoli culturali. Però che stanchezza, mi meraviglio ancora che un intero Consiglio di Istituto non si renda pienamente conto di quello che sta comunicando!
Purtroppo, come in tanti altri campi, persino nella scuola sta succedendo quello che la mia generazione avrebbe creduto non si sarebbe mai più verificato: regressione rispetto agli ideali e alle conquiste fatte cinquanta anni fa!
Giuste considerazioni, la scuola è un’azienda che si vende e ha lasciato il ruolo di formazione in seconda linea. Da mettersi le mani nei capelli!
Veramente!
Marisa vado un po’ controcorrente. Il classismo nella scuola c’era anche quando la frequentavo io (anni ’80 e ’90). Oggi lo si sta portando all’apice e lo si rende palese. Faccio un esempio personale. Nel mio paese di origine vi era una sola scuola media inferiore. Ma non sono mai riuscito a capire come mai i figli della “borghesia” finivano inesorabilmente tutti in un paio di sezioni, i “figli degli altri” nelle restanti sette sezioni. Certo il dato personale non fa testo… ma non credo che quella situazione fosse un caso isolato. In fondo l’Italia e’ rimasta in maniera latente un paese affetto da classismo. Fino a 10 anni i classisti avevano solo un po’ piu’ di pudore, ora quel pudore. Per il resto condivido quello che hai scritto su questa deriva.
Be’, certo, il classismo nella scuola c’è sempre stato, ma per un periodo (mi riferisco principalmente agli anni ’60 e ’70, ma anche ai decenni successivi) la scuola, o almeno una parte di essa, ha cercato di superarlo, di contrastarlo. In ogni caso, almeno sulla carta: non dimentichiamo che per un certo periodo di tempo la scuola è stata un discreto ascensore sociale, ha permesso a molti giovani di origine modesta di accedere alla laurea, a un lavoro qualificato, a salire di uno o più gradini. Oggi, non solo a causa della scuola, l’ascensore sociale non funziona più.
Si Marisa, concordo. Mio padre era un semplice operaio, mia mamma una casalinga. Ciò nonostante sono riuscito a conseguire una laurea in ingegneria al Politecnico (nulla di cui vantarsi per carità) e trasferendomi dal Sud (io la considero una emancipazione l’essersi trasferito ed avendone avuto la possibilità grazie alle borse di studio conseguite e che venivano elargite.. ora gli importi sono sempre più bassi, e per chi nasce nella parte più arretrata d’Italia e non ne ha i mezzi economici, un trasferimento di questo tipo e’ quasi impensabile). Tra gli anni 70 e gli anni 90, l’ascensore sociale ha funzionato, anche bene. Torino era una realtà dove questo si toccava con mano per esempio.. anche se con storture che provenivano da lontano e mai superate. Ora probabilmente molto meno e la direzione sembra quella della scuola classista in maniera totale che hanno vissuto i miei genitori. Della possibilità di aver potuto accedere come opportunità ai miei studi ringrazio ogni giorno i miei genitori per i sacrifici fatti, e molti della loro generazione che in prima persona avendo vissuto sulla propria pelle l’infamia del classismo si impegnarono per cambiare le cose ampliando la possibilità di dare accesso al mondo della scuola e università ad una platea molto più ampia. Purtroppo avendo dei figli piccoli in età scolare, quando vivevo in Italia (fino ad un anno fa esatto) notavo come quello spirito latente (molto italiano, spagnolo, latinoamericano) ora stia dirompendo di nuovo, specie nelle scuole secondarie, ove forse maggiormente ha sempre attecchito (specie nella distinzione licei vs istituti tecnici).
Io ho 34 anni, ho fatto le scuole in una piccola cittadina (per capirsi, in tutto il territorio comunale c’erano due scuole media, una di cinque sezioni, l’altra 7-8), e non ho mai visto o vissuto fenomeni di classismo. C’erano sezioni considerate più difficili, quindi io, che ho sempre amato studiare, le ho indicate come scelta al momento dell’iscrizione, ma non hanno mai raccolto “l’élite” della mia cittadina. Così come il liceo raccoglieva persone più desiderose di studiare rispetto agli istituti professionali, ma la distinzione era quasi esclusivamente fondata sulla voglia di stare sui libri. Proprio perché la mia esperienza è stata così felice (e io sono figlia di un camionista e di una infermiera che ha studiato per diventare infermiera mentre facevo le elementari) mi fa un male cane leggere questa storia.
Ed è una grande amarezza per chi ha vissuto in anni in cui c’era un po’ più di giustizia vedere quanto si stia tornando indietro… L’università, per esempio, ai miei tempi costava veramente poco, ora invece le tasse universitarie sono salatissime e la cosa più ingiusta secondo me è che sono alte anche per i fuori corso, che magari sono persone che lavorano e che fanno salti mortali per laurearsi, non usufruiscono più dei servizi dell’università perché non hanno più corsi, hanno finito gli esami, devono solo laurearsi… e con un’intenzione punitiva (sei così vecchio e ancora non ti sei laureato?) non hanno nessuno sconto!
Allora, in realtà a Pisa costa ancora abbastanza poco, purché tu faccia le procedure per la riduzione, nelle quali rientrano anche persone con isee abbastanza elevato (Per capirsi con casa di proprietà e genitori che percepiscono un reddito di circa 1600-1800 € Mia sorella spende una cifra veramente ragionevole), quello che mi hai lasciato perplessa È che nella medesima situazione a Firenze avrebbe speso più del doppio.
Sarà perché i miei figli hanno frequentato a Firenze…
La scuola in cui lavoro ha un’altissima percentuale di studenti DSA e 104. Inoltre, intorno ad essa vivono molti marocchini e albanesi, che ovviamente approfittano della vicinanza per iscrivere lì i loro figli. Ne consegue che abbiamo tanti alunni con problemi di apprendimento o appartenenti ad etnie sulle quali gravano i peggiori pregiudizi.
Noi che lavoriamo lì sappiamo benissimo che la loro presenza dissuade molti genitori dall’iscrivere i nostri figli alla nostra scuola: mio figlio con i marocchini non ce lo voglio, mio figlio nella scuola degli handicappati non ce lo mando, questi sono i loro ragionamenti.
Ovviamente la loro presenza induce anche tanti professori a chiedere il trasferimento: preferiscono lavorare con delle classi prive di studenti DSA e 104, e nella mia scuola non ce n’è neanche una. Ma non ci dispiace assolutamente quando li perdiamo: i professori che ragionano in questo modo non fanno per la nostra scuola, e la nostra scuola non fa per loro. Noi non abbiamo MAI considerato questi alunni un peso, e non li abbiamo MAI fatti sentire degli intrusi senza i quali staremmo tutti meglio. Come dicevo prima, se c’è stato qualcuno che mal sopportava la loro presenza, se n’è andato spontaneamente appena ha potuto, e noi l’abbiamo lasciato partire senza alcun rimpianto.
Voglio aggiungere una cosa: la vicinanza con alunni albanesi, marocchini, DSA o 104 non è minimamente di ostacolo a chi è loro superiore socialmente o intellettivamente. Per quanto riguarda le prime 2 categorie, i delinquenti ci sono anche tra gli alunni italiani, e la percentuale non è molto diversa da quella degli alunni albanesi e marocchini: di conseguenza, stando in classe con loro un ragazzo bene va incontro agli stessi rischi che correrebbe con dei compagni made in Italy al 100%.
Per quanto riguarda gli studenti DSA o 104, non è vero che la loro presenza costringe i professori ad abbassare il livello della didattica, e quindi a non valorizzare abbastanza gli alunni bravi: un docente degno di questo nome nome riesce a dare il giusto spazio e la giusta attenzione a tutti gli alunni, da quelli più impacciati a quelli più brillanti.
Bravo, wwayne, il tuo commento ti fa onore
Grazie mille! 🙂
Un’amica insegnante mi spiegava proprio la questione che vede le scuole un po’ obbligate a trovarsi una appetibilità. Io ne sono fuori da quasi 20 anni (ne senso che non sono un’insegnante e l’ultima maturità di famiglia risale al 2003), ma ho sempre pensato alla scuola come un luogo dove i ragazzi potevano incontrare la vita vera, dove capivano che la loro normalità non era quella di tutti, dove nascevano amicizie disinteressate.
Sì, a partire dalla fine degli anni ’90 con la famigerata autonomia le scuole hanno dovuto farsi pubblicità e attirare “clienti”, è da qui che nascono gli esiti attuali, a volte perversi.