Uno dei libri più belli che ho letto in questi ultimi anni è Le case del malcontento, di Sacha Naspini. Un romanzo corale, in cui un intero paese parla per bocca dei suoi abitanti, tutti tipi abbastanza stravaganti, o forse normali, secondo da che punto di vista li guardi. Mille versioni delle varie vicende che hanno scandito la vita del paese, mille voci diverse e il Male che circola sotterraneo ad avvelenare tutto e tutti.
Sacha Naspini è venuto ieri a Pistoia a presentare il suo nuovo romanzo, Ossigeno, che solo apparentemente è la storia di una ragazza sequestrata per anni da un pervertito dalla reputazione immacolata: in realtà è la storia delle conseguenze del Male, dell’ombra che lascia sulle persone che ha sfiorato. Sacha Naspini scrive benissimo e sa tenere incollati alla pagina e io, che ho iniziato ieri sera a leggere il suo libro, sono già a pagina 79.
L’unica cosa che non ho capito del tutto è come mai il dotto professore che l’ha presentato, di cui tutti a Pistoia conosciamo l’erudizione senza bisogno di ulteriori dimostrazioni, si sia prodotto in una lezione della durata di quarantacinque minuti, citando Freud, Zola, Verga, i postmoderni, il positivismo e non riuscendo a trattenersi dall’enunciare, con perfetto accento francese, “race, milieu, moment”. Una boccata di Ossigeno, per favore.
Marisa Salabelle
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Mi sembra ovvio che il presentatore abbia esagerato, ma ammetto che anche a me è venuto subito in mente Verga appena ho letto “un intero paese parla per bocca dei suoi abitanti”. Riguardo ad Ossigeno, mi pare evidente l’ispirazione dalla vicenda di Natascha Kampusch.
In realtà Le case non è esattamente un libro corale, è fatto di tante voci diverse, tanti monologhi che si susseguono e che raccontano ognuno la sua storia, intrecciandosi e contaminandosi l’un l’altro. Più che ai Malavoglia, mi fa pensare all’Antologia di Spoon River. In ogni caso, non era necessario che il bravo relatore spadellasse un’intera lezione di letteratura da classe quinta liceo…
Per quanto riguarda Ossigeno, è chiaro che il caso di Natasha (e di altre ragazze parimenti rapite e tenute a lungo sotto sequestro) ha ispirato numerosi romanzi in cui una giovane donna con o senza pargoletto vive dentro una camera/cantina/baracca/container…
Storie come quella di Natascha Kampusch sono molto più frequenti di quel che si potrebbe credere. Perché tante donne magari non sono tenute fisicamente sotto chiave, ma vengono soggiogate psicologicamente da uomini che le trattano come burattini nelle loro mani, e fanno in modo che non facciano neanche un passo senza la loro supervisione e approvazione. Se la donna osa accennare una ribellione, giù botte. Se si arrischia addirittura a lasciare il partner, allora parte lo stalking. E in certi casi purtroppo anche il femminicidio. Il rispetto della libertà altrui è un valore meno diffuso di quel che dovrebbe, e quando manca all’interno di una coppia le conseguenze sono devastanti.
Purtroppo la cronaca ne è piena!
Bella recensione.
Lo leggerò