Dell’ultimo film di Quentin Tarantino, C’era una volta… a Hollywood avevo sentito parlare sia bene che male. Insomma, proprio male male no, perché Tarantino è comunque Tarantino, ma in termini critici, questo sì. Lento, troppo lungo, troppo poco splatter, troppo sentimentale, poco tarantiniano. Ieri, finalmente, sono andata a vederlo. Fin dalle prime inquadrature me ne sono innamorata perdutamente. La storia la sappiamo: è quella di un attore che ha avuto successo negli anni ’50 con una serie di telefilm in cui interpretava il ruolo di un bounty killer, poi passato a ruoli minori e destinato inevitabilmente all’oblio. Inseparabile da lui, lo stuntman che gli fa da controfigura, da autista e da tuttofare. Siamo nel 1969, Rick Dalton, interpretato superbamente da Leonardo DiCaprio, vive a Cielo Drive, e i suoi vicini di casa sono Roman Polanski e la sua bella moglie Sharon Tate. Nei pressi, peraltro, in un ranch polveroso, vive una comunità di hippies, guidata dal tristemente famoso Charles Manson. Con un sapiente intreccio Tarantino crea un forte senso di tensione, specialmente nella seconda parte, fino al finale che ribalta ogni nostra previsione.
Ma il bello del film è la ricostruzione della Hollywood fine anni ’60, con i cinema dalle insegne scintillanti, con i manifesti e le locandine dei film più famosi, con le splendide auto d’epoca, con la proiezione di frammenti di vecchi film e telefilm, con la cura di ogni dettaglio che rivela la grande passione di Tarantino per il cinema, per il Western, per i suoi adorati B-movie. La colonna sonora è un tripudio di vecchie canzoni, gli attori sono fantastici, il film, a mio parere, è tarantiniano fino al midollo, compresa la scena finale che fa letteralmente fuoco e fiamme. Tarantino si conferma uno dei più grandi geni della storia del cinema.
Marisa Salabelle
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L’ho visto sabato scorso e devo dire che, come te, l’ho trovato in perfetto stile Tarantino. Di Caprio tiene su da solo il film in tutta la prima parte; fantastico come sempre!
Il finale è qualcosa di stupendo, l’ho trovato anche un gesto molto dolce nei confronti di Sharon Tate.
Un vero finale alternativo!
Mi perdoni, ma l’intreccio è tutto fuorché sapiente: al contrario, è così ridotto all’osso che per la maggior parte del tempo il film si limita a mostrarci gente che va a zonzo senza costrutto.
Mi trova d’accordo invece quando dice che C’era una volta a… Hollywood migliora un po’ nella seconda parte, soprattutto perché si respira un’atmosfera più tesa rispetto al piattume totale della prima. Ma il miglioramento nel secondo tempo non è abbastanza netto da farmi chiudere un occhio sulla noia colossale del primo.
Inoltre, in un film di Tarantino di scene creativamente cruente ne voglio almeno 5: se invece lui ce ne mette solo una tanto per dare un contentino ai suoi fan, a quel punto io rifiuto di farmi comprare con 2 lire, e stronco il film con decisione ancora maggiore.
Il Suo post mi ha fatto riflettere su un dato piuttosto evidente, ma al quale finora non avevo fatto caso: il film è anche una riflessione sulla facilità con cui gli attori tendono a rovinarsi con le loro stesse mani. Rick Dalton era una star della tv, ma non gli bastava, lui voleva il grande salto a Hollywood: così è riuscito a comprarsi una villona lì con tanto di vicini illustri, ma la sua carriera è precipitata, perché più in là delle serie tv non poteva andare.
La sua parabola mi ricorda quella di Jim Carrey: era l’attore comico più popolare del mondo, ma non gli bastava, lui voleva essere apprezzato anche come attore drammatico. Così ha cominciato ad accettare ruoli in dei film che magari erano anche belli (The Truman Show su tutti), ma non erano quelli che il suo pubblico voleva, e quindi i suoi fan gli voltarono le spalle. Adesso continua a recitare, ma non tornerà mai più la star di un tempo. Esattamente come Rick Dalton.
Non ho trovato assolutamente piatta né noiosa la prima parte! E comunque, non sono d’accordo sul fatto che un regista, o un attore, debba invariabilmente dare al pubblico quello che si aspetta. A parte il fatto che a me questo film sembra assolutamente tarantiniano, in ogni caso sono favorevole al fatto che un artista si rinnovi e sperimenti sempre nuove strade!
Il grande pubblico la pensa diversamente. Jim Carrey ci è rimasto sotto, e lo stesso vale per Robin Williams, che fece lo stesso identico errore. Tarantino invece potrebbe scampare a quest’infausto destino, perché ha uno zoccolo duro di fan così appassionati che lo applaudirebbero anche se lui facesse un documentario di 5 ore sul peptide pancreatico. Grazie per la risposta! 🙂
Lo vedrò! 🙂
Anche a me è piaciuto moltissimo, forse più di altri di Tarantino. È un omaggio al cinema e alla vera amicizia. Forse un po’ lunga la sequenza metacinematografica in cui Dicaprio fa l’attore, ma il nostro Leonardo è talmente bravo che passa anche quella.
Il finale è pirotecnico ed in un certo senso demiurgico: può un artista cambiare il corso della storia e punire i colpevoli di un efferato delitto, lasciandoci un sorriso soddisfatto che ci fa per un attimo dimenticare l’orrore che è stata la notte del 9 agosto 1969? Io rispondo che Tarantino c’è riuscito.
Non è la prima volta che Tarantino prova a riscrivere la storia, per esempio in Inglorious Bestards; ho letto che su questo film c’è stato chi ha considerato inappropriato proporre un finale alternativo, pensando a ciò che è successo nella realtà; a me pare invece che Tarantino, nel suo modo irridente e un po’ sopra le righe, abbia fatto centro, salvando Sharon e facendo perire i cattivi.
Sono d’accordo