Straordinario incontro con Ilide Carmignani, Alessandro Raveggi e l’immancabile Giuseppe Girimonti Greco a proposito di Roberto Bolaño e, più in generale, del mestiere di traduttore.
Il grande scrittore cileno, morto appena cinquantenne nel 2003, ha lasciato una selva di testi che costituiscono un mondo, un universo sfaccettato ma coerente, in cui i personaggi rimbalzano da un romanzo all’altro e il materiale cui l’autore attinge è rappresentato dalla sua esperienza autobiografica nel Messico, dove è cresciuto negli anni ’70 del Novecento. Io non ho letto tutte le sue opere, ma le due sicuramente più corpose e significative, e cioè 2666 e I detective selvaggi. E condivido in pieno l’opinione della professoressa Carmignani quando dice che si tratta di uno scrittore che ha il potere di sorprenderti, di lasciarti a bocca aperta, e questo, detto da chi ha letto davvero tanto, come la professoressa e, molto più in piccolo, come me, è qualcosa.
È bello incontrare gli autori dei libri, ma è molto bello anche incontrare i traduttori, che ti offrono un punto di vista particolare: quello di chi, in un’opera, ci è vissuto per mesi, ci si è confrontato allo scopo di restituirla il più fedelmente possibile in un’altra lingua.
L’unico inconveniente che hanno queste serate è che mi mettono di fronte all’abisso della mia ignoranza, di fronte al quale le poche migliaia di libri che ho letto hanno l’effetto del famoso cucchiaino col quale si vorrebbe svuotare il mare; esco da questi incontri con la testa piena di progetti, perlopiù irrealizzabili. In questi primi mesi del 2018 ho deciso di: rileggere tutta la Recherche, completare la mia lettura di Bolaño, imparare lo spagnolo e recuperare il francese, oltre a incrementare il mio inglese, per affrontare gli autori in lingua originale, dedicarmi alla poesia, rileggere tutto Balzac e poi… che altro?
Marisa Salabelle
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