A proposito di certe discussioni che si svolgono in rete a proposito di scuola, di riforme e di merito, trascrivo qui un commento che ho postato sul blog Vibrisse (http://www.vibrisse.wordpress.com/) di Giulio Mozzi.
Non sono una sessantottina, nel Sessantotto avevo tredici anni e mettevo appena appena il naso fuori di casa. Né voglio addentrarmi in una analisi delle conseguenze positive e negative del fermento che animò il periodo che siamo soliti indicare con questa definizione. Una cosa però mi colpisce, da parte di chi attribuisce conseguenze nefaste al Sessantotto, ed è questa: sembra che non ci si renda conto che quella data rappresenta una cesura, un cambiamento che doveva avvenire, inevitabilmente. Il mondo non è lo stesso rispetto al periodo precedente quella data, e in questo senso non mi sembra molto ragionevole dire “colpa del Sessantotto” o “merito del Sessantotto”: è accaduto, doveva accadere. Chi potrebbe immaginare i ragazzi d’oggi in una scuola come quella che hanno fatto i nostri fratelli più anziani? Chi potrebbe immaginare i valori, gli obblighi, i comportamenti di allora replicati al giorno d’oggi? È proprio un altro mondo e non ha senso dire “colpa del Sessantotto”, “se non ci fosse stato il Sessantotto”.
Con buona pace poi di tutti coloro che rimpiangono i bei tempi andati, anche dopo il Sessantotto si è studiato, ci si è impegnati, oserei dire che si è potuti diventare persone colte anche essendo nati dopo il 1950. Persino riguardo alla scuola mi capita di leggere talvolta: “l’attuale degrado è colpa degli insegnanti che si sono laureati dopo il Sessantotto, che non sanno nulla”. Allora, di grazia, spiegatemi. Se io, che ho 59 anni e sono una veterana dell’insegnamento, nel Sessantotto avevo tredici anni, che età dovrebbero avere gli insegnanti laureati prima di quella data? Settanta come minimo. Nessuno di essi è più in servizio nelle scuole (forse qualcuno nelle università), e menomale! O davvero si crede che la salvezza della scuola consista nel rispolverare ultrasettantenni, magari coltissimi, ma lontani anni luce dai giovani?
Infine, sulla famosa selezione meritocratica a suo tempo proposta da Berlinguer: io me ne ricordo bene, perché c’ero. Ero, come sono tuttora, un’insegnante di ruolo. Mi ero laureata a suo tempo, avevo vinto un concorso, avevo una discreta esperienza. Non ero contraria, come non lo sono ora, ad essere giudicata sul mio valore di insegnante. Ma la proposta di Berlinguer, che indignò tanti di noi, era questa: sottoporsi a una batteria di quiz, un fuoco di fila sui più svariati argomenti per ottenere, in caso di superamento, un incremento stipendiale. Un quiz. Nulla che verificasse la nostra esperienza, la nostra capacità di rapportarci con i ragazzi, il nostro modo di far lezione, la nostra onestà professionale. Un quiz. Per prepararci al quale, magari, avremmo trascurato un po’ il nostro lavoro ordinario, così umile e sempre tanto vilipeso, perlopiù da incompetenti.
Marisa Salabelle
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Io nel Sessantotto ero un bambino e quindi non sono un sessantottino (nè un antisessantottino). Nemmeno io voglio addentrarmi in un’analisi che non può essere liquidata parlando in modo superficiale di colpe e meriti. Faccio solo un’osservazione: molte volte gli eccessi rappresentano la reazione ad un totale rifiuto del cambiamento. Chi vuole cambiare un sistema che risulta palesemente arcaico e inadeguato e si trova davanti il rifiuto più assoluto viene di fatto “costretto” ad esagerare e il rischio che insieme ai cambiamenti positivi ve ne siano anche di negativi aumenta di conseguenza.
Buona giornata,
Enrico
La questione sta, secondo me, nel modo in cui la cosa è presentata: ci sono state affermazioni (nei commenti precedenti questo tuo, su Vibrisse) che più o meno sgangheratamente (è una mia opinione) affermano esistere una relazione di causa-effetto tra il ’68 (genericamente inteso come periodo di tempo in cui sono avvenuti dei rivolgimenti) e lo status attuale della scuola. Semplificando: da dopo il ’68 (causa) la scuola è malridotta (effetto) . Nessun analogo legame è però istituito tra il precedente status quo (causa) e il ’68 (effetto). Cioè, il ’68 non è stato conseguenza di “qualcosa” avvenuto prima: si è generato da sé. Ciò che è avvenuto con il ’68 si sarebbe dovuto evitare poiché sarebbe stato causa di futuri malfunzionamenti ecc. Ciò che è avvenuto prima non c’entra nulla peché non è “causa” del ’68 (infatti nessuno si chiede “perché” ci sia stato il ’68. Forse, solo perché prima c’è stato il ’67?). Il ’68 sarebbe quindi una cesura, una soluzione di continuità, in una serie di eventi storicamente determinabili che cioè erano legati causalmente prima e lo sono stati nuovamente dopo (soprattutto dopo!), ma con quella rottura (che non sarebbe dovuta esistere!) nel mezzo. E’ questa la sgangheratezza dei “ragionamenti” presentati!
Del Suo post mi ha colpito in particolare questo passo: “Nulla che verificasse la nostra esperienza, la nostra capacità di rapportarci con i ragazzi, il nostro modo di far lezione, la nostra onestà professionale.” A mio giudizio questi criteri non vennero presi in considerazione perché non sono oggettivamente misurabili.
Per lo stesso motivo non capisco l’introduzione da parte del governo di scatti in base al merito: purtroppo non ci sono criteri oggettivi per stabilire il merito di un insegnante, per stabilire se è o meno un bravo docente.
La chiarezza con cui spiega? Non è un criterio oggettivo, perché l’efficacia con cui le sue informazioni arrivano agli alunni dipende dal livello culturale e dall’intelligenza di chi ascolta: se uno è ignorante quanto una capra e/o con poca materia grigia, non gli apparirà chiara nemmeno la spiegazione più semplice del mondo, perché certi argomenti si possono semplificare solo fino a un certo punto.
La correttezza con cui si rapporta ai suoi alunni? Questo criterio è ancora più sfuggente: chi stabilisce il codice morale dell’insegnante?
L’abilità nel concludere un certo numero di argomenti all’interno di un anno scolastico? Suvvia, sappiamo benissimo che molti docenti mettono in programma un sacco di argomenti che non hanno mai fatto o hanno spiegato in 2 parole, per far vedere quanto son stati bravi a chiudere il programma in tempo. E poi, anche ponendo che un docente non menta sul programma, bisogna vedere se tutti quegli argomenti sono stati effettivamente compresi dai suoi alunni.
Insomma, voler stabilire il merito di un insegnante è come voler stabilire chi è la donna più bella del mondo o l’uomo più intelligente: si può fare, ma è ridicolo.
Sul Sessantotto, sempre semplificando molto: chi ne parla nei termini goffi di cui sopra, sembra non rendersi conto che si è trattato di un fenomeno mondiale, non di una bizzarra idea da parte di qualche squinternato con poca voglia di studiare, che la società autoritaria e bigotta che l’ha preceduto era diventata intollerabile per i giovani di allora, che le cose comunque cambiano continuamente, che le relazioni, i modelli di riferimento sono diversi per le diverse generazioni… Insomma, non ha senso per me rimpiangere “la scuola com’era prima del Sessantotto”, e comunque, anche se fosse stata migliore, oggi siamo in un altro mondo, e basta.
Sulla valutazione del merito: questione complessa, nemmeno io saprei dire con quali parametri si valuta un insegnante. Una volta i presidi attribuivano “la qualifica”, ma era un proforma. In certi casi di inadempienza è possibile chiedere un’ispezione, attivare delle sanzioni, stabilire l’inidoneità e in alcuni casi anche licenziare: contrariamente a quel che si pensa, dalla riforma Brunetta della PA anche noi insegnanti “di ruolo” (più corretto dire “a tempo indeterminato”) siamo licenziabili. Questo in negativo. In positivo… qualcosa forse si può fare, ma con cautela, e per favore, per favore non quiz. Trovo umiliante che per dimostrare di essere una brava insegnante, a quasi 60 anni di età e con 35 anni di insegnamento alle spalle, debba rispondere a quiz come una concorrente di quel programma, come si chiama? L’eredità?
Magari con la Giannini a fare da valletta. Tanto, ha già dimostrato di non avere alcun imbarazzo a mostrarsi nuda…
E Matteo a fare le domande. Tanto, lui è un esperto…