Oggi, giorno della prima prova scritta, sono a disposizione dei ragazzi, copro due turni di sorveglianza, dalle 8 alle 12 e dalle 12 a fine prova. Siccome sono due classi e non ci sono corridoi abbastanza ampi, li hanno piazzati nelle loro aule: va be’, dico, per le prime tre ore starò nell’aula A, per le seconde tre starò nell’aula B, in ogni caso se avete bisogno di me chiamatemi.
La prima ora passa leggendo le tracce, pletoriche come sempre. Mi sono sempre chiesta come pensi, il ministero, che dei ragazzi di 19 anni possano svolgere un saggio di tre-quattro colonne protocollo (misura raccomandata) avendo a disposizione sette, otto documenti lunghi e difficili per ognuno degli argomenti proposti. Giro tra i banchi, volti sconosciuti mi rivolgono occhiate indagatrici (chissà che tipo è, si stanno domandando) e supplichevoli (ci aiuti a tirar fuori qualcosa da questi documenti). Il primo che rompe il ghiaccio è un ragazzetto dall’aria spavalda. Mi chiede come interpretare alcune frasi sibilline presenti in uno dei testi. Da quel momento, è una selva di mani che si alzano. Tutti vogliono parlarmi, chiedermi qualcosa, mi avvicino ai postulanti mentre il topografo, che pochi minuti prima dell’inizio della prova aveva raccomandato massima serietà, inizia a manifestare disappunto.
«Ragazzi, cosa sono queste mani alzate, non crederete mica che la professoressa vi faccia il tema!»
«Ci mancherebbe altro, collega! Sto solo dando qualche chiarimento tecnico.»
«Bene, ora però venga alla cattedra, per favore. E voi, candidati, non importunatela. La commissaria è qui per sorvegliare, non per svolgere la prova al posto vostro.»
Abbozzo per non farlo innervosire, mi siedo alla cattedra, sfoglio il giornale.
Dopo mezz’ora arriva la professoressa di inglese, mi si avvicina, mi parla all’orecchio.
«Vieni nell’altra aula, c’è un ragazzo in piena crisi… è un tipo ansioso, non ha ancora deciso che tema fare, sta andando in paranoia, vedi se puoi dargli qualche dritta!»
«Vado, ma tu per favore tieni impegnato il topografo, qui, che mi ha già sgridato per due parole che ho detto…»
Vado, e mi trovo davanti un tipo grande e grosso, accasciato sul banco, il fascicolo con le tracce pieno di orecchie e fregacci, i fogli protocollo forniti dalla commissione, col timbro e la firma del presidente, pieni di scarabocchi, una bottiglietta d’acqua a metà e una vuota, incarti di merendine sparsi sul piccolo piano di lavoro.
Mi avvicino e gli metto una mano sulla schiena, massaggiando leggermente.
«Allora, che succede?»
«Professoressa, io so scrivere!»
«Lo credo senz’altro!»
«Non son bravo in costruzioni, non sono un asso in tecnologia, ma so scrivere. Se c’è una cosa che so, è che so scrivere.»
«D’accordo. Quindi che c’è che non va?»
Per tutta risposta sfoglia il plico delle tracce, lo sventola, lo sbatte sul banco.
«Non ti piacciono i temi proposti?»
«Non ci capisco niente, professoressa. Non mi viene nessun’idea su nessun argomento. Vuoto. Vuoto totale.»
«Vediamo. Non è possibile che su sette possibili tracce non ce ne sia una che tu possa svolgere. Dunque… ci sarebbe l’analisi del testo… che ne dici dell’analisi del testo? Altrimenti l’argomento socio-economico… o quello storico… ti piace la storia? O sei più per l’artistico letterario? Leggiamo un po’ questi documenti…» dico con voce ipnotica, non smettendo di massaggiargli la schiena. Piano piano si calma, sceglie una traccia, forse questa potrebbe andarmi bene, dice con un filo di voce.
«Perfetto. Ora leggi con attenzione i documenti e pensa alla tesi che vorrai sostenere. Io torno nell’altra aula, ma tra un’oretta vengo a vedere come va. Sei tranquillo?»
«Sono tranquillo. Io so scrivere, professoressa, sa!»
«Ne sono certa.»
Torno alla mia postazione originaria. Lo schizzato di topografia non s’è accorto di nulla: la professoressa di inglese l’ha saputo intrattenere a dovere, tra sorrisi complici ed esibizione di gambe abbronzate.
Marisa Salabelle
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eh, le gambe abbronzate distraggono sempre!
Sei una grande!!!
Lo stress da esame fa brutti scherzi!
Forse mi sbaglierò ma credo che in primis gli alunni (almeno questa è stata la mia esperienza) abbiano bisogno di rapporto umano e di qualcuno che gli dia fiducia. Questo ancor prima delle nozioni tecniche della materia, Se penso alla mia esperienza scolastica gli insegnanti che hanno avuto questo atteggiamento nei miei confronti ci sono stati, ma li posso contare sulla dita di una mano. Se c’è una cosa che la scuola non mi ha aiutato a formare è stata proprio l’autostima.
Qualcuno potrebbe obbiettare dicendomi: “Sono all’esame di maturità, devono proprio dimostrare di saper affrontare i problemi.”
Ok, ma non didemi che anche gli adulti non hanno bisogno di un sostegno o di un aiuto ogni tanto. Se si dice che l’uomo è un animale sociale ci sarà un motivo. La scuola dovrebbe insegnare proprio a stare insieme non a creare dei singoli super – uomo che non hanno bisogno di chiedere mai.
Scusa, forse sono andato fuori tema, ma atteggiamenti come “lo schizzato” che hai descritto a me fanno arrabbiare.
La scuola è come tutto il resto, ci sono persone di ogni genere. Non mancano quelli fissati con le regole, al punto da diventare paranoici, ma ci sono anche persone attente e comprensive. Penso che i ragazzi non debbano essere eccessivamente coccolati ma messi di fronte alle loro responsabilità: però è vero, e l’ho notato in più di una situazione, che alcuni si stressano di fronte all’esame di stato al punto da bloccarsi completamente. In questo caso mi sembra giusto aiutarli a “ripartire”, senza per questo fare il lavoro al loro posto!